di Stefano Ragni – Duecento anni di Mosè, 1818-2018, e centocinquant’anni dalla morte di Rossini: una ricorrenza doppia che richiedeva una celebrazione solenne.
Giovedì 22 marzo alle ore 17 il Duomo di Orvieto ha ospitato la tredicesima edizione di Omaggio all’Umbria, il concerto di Pasqua di Rai1 trasmesso in eurovisione. Per l’occasione è stata eseguita l’opera lirica per soli, coro e orchestra Mosè in Egitto di Gioacchino Rossini con il Coro e l’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli, direttore Donato Renzetti, direttore del coro Marco Faelli.
Laura Musella, per il suo concerto di Pasqua ha scelto il meglio di quanto le offriva la storia ed è andata a cercare la collaborazione di quel teatro per cui Rossini scrisse, nella Quaresima del 1818, la sua azione tragico-sacra, il glorioso San Carlo di Napoli.
Lì, nell’unico teatro reale di cui si fregiava il solo regno che, nella penisola, potesse vantare una fisionomia europea, Rossini era andato mietere soldi e successo: due cose che, per lui che era nato poverissimo, rivestivano una importanza più che vitale.
La scelta di portare il capolavoro del teatro sacro rossiniano apre un ulteriore spiraglio di valutazione su Omaggio all’Umbria, un progetto che ormai possiamo considerare il “festival dei festival”, soprattutto per la frequenza con cui, a ogni sua apparizione, sa cogliere situazioni spettacolari di altissimo respiro. La tradizionale ripresa della Rai, che sarò diffusa nella imminente Pasqua, proietterà le immagini del colosso gotico del Maitani in ogni angolo della terra e renderà un ulteriore servigio, cosa che si ripete da moti anni, alla causa del turismo d’arte che ha fatto dell’ancestrale capitale della confederazione etrusca uno dei centri mondiali di attenzione.
In una temperatura semplicemente glaciale che ha messo a dura prova le prestazioni dei musicisti e la rassegnazione degli ascoltatori, con la luce del sole che comunque si contendeva con il palco luci di Rai1 le sue magiche rifrazioni attraverso le antiche vetrate, il Mosè di Rossini ha, se possibile, acquisito ancora più ritualità: la storia biblica dell’Esodo ha diffuso le sue armonie in uno dei luoghi più sacri della cristianità, rivestendo del suo mantello una musica che è apparsa in tutta la sua risonante maestosità.
Quando nel lontano 1818 Rossini scelse come personaggio l’unico profeta che mette d’accordo le tre religioni rivelate, non immaginava certo di sancire l’unico atto di riconciliazione tra tre forme di fede quanto mai criticamente antagoniste. Ma i tempi erano quelli che erano, e dopo la bufera napoleonica e murattiana, la città di Napoli non voleva saperne di tenere chiusi i teatri nella lunga Quaresima. Di qui l’espediente di inventare “azioni sacre” che altro non erano che opere col turibolo.
Ma, tra le tante, ci scappò il capolavoro, rivitalizzato, ieri pomeriggio, da una esecuzione la cui “storicità” è sancita proprio dall’orchestra e dal coro che ne furono i primi destinatari. Esecuzione in forma di concerto, ovviamente, con un direttore come Donato Renzetti, che è un musicista accorto, un concertatore analitico e un suscitatore di un entusiasmo professionale condivido con un’orchestra che ha suonato “di velluto” nella sezione degli archi e che ha fatto brillare lo scintillio dei suoi fiati che nell’altezza del transetto del duomo hanno trovato un incredibile spazio verso l’alto, è piovendo sugli ascoltatori come un pulviscolo timbrico semplicemente dorato.
Il cast dei solisti di canto si raccoglieva intorno al Mosè di Giorgio Giuseppini, ieratico declamatore di quella “immensa” scena delle tenebre che ci ricorda ancora oggi come Rossini fosse un attento conoscitore della musica Mitteleuropea, avendo come modello l’Hadyn della Creazione. Ma quella preghiera “Dal tuo stellato soglio”, aggiunta nel ripristino del 1819, fu una firma destinata a passare alla storia. Nell’Ottocento la intonarono tutti coloro che credevano in un’Italia unita e democratica, a cominciare da Giuseppe Mazzini, e ancor oggi il messaggio di pace che ne scaturisce è l’inizio di un cammino che potrebbe unirci tutti, solo se lo volessimo veramente. Qui ovviamente è stato posto in risalto il compatto amalgama del coro istruito da Marco Faelli.
Il ruolo determinante di Elcia, l’ebrea innamorata di Osiride, il figlio del Faraone. Qui ha brillato la voce di Karen Gardeazabal, una splendida timbricità “in purezza” e uno smalto acustico penetrante, sorretto da una evidente capacità comunicativa. Con lei ha duettato un magnifico Enea Scala in una pagina “Ah, se puoi così lasciarmi” che è il cuore dell’intreccio amoroso dell’opera. La necessità di raccogliere lo spettacolo nell’ arco di settanta minuti ha imposto mole rinunce nella totalità della partitura, ma non sono mancate la bellissima aria di Amaltea, sposa del Faraone, con una Christine Rice che ha fatto scuola di Belcanto, e le parti di Faraone, l’ottimo Alex Esposito, di Krystian Adam in Aronne.
Sorretto dal Ministero dei Beni Culturali, il concerto rossiniano è riuscito a unire nel sostegno all’iniziativa il meglio dell’Umbria imprenditoriale, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto e di Perugia alle Camere di Commercio di Perugia e Terni, all’Intesa san Paolo. L’Unicef, partner tradizionale era presente coi suoi volontari. Il logo dell’Università per stranieri di Perugia era quanto mai pertinente. Nel palazzo Gallenga-Stuart, che oggi raccoglie l’eredità della famiglia Antinori, ebbe luogo nel 1824 un’Accademia domestica nel corso della quale i marchesi e le marchesine intonarono i ruoli del Mosè in Egitto, realizzando quella che va considerata a tutti gli effetti un gesto di straordinaria apertura verso un grande affresco operistico che muoveva i suoi primi, brevi passi, visto che lo stesso Rossini appena quattro anni dopo, lo avrebbe trasformato in un’opera in lingua francese. La stessa che nel 1978, col titolo di “Moise et Pharaon”, il Francesco Siciliani della Sagra Musicale Umbra ci fece riascoltare in uno stupefatto teatro Morlacchi.
Ieri, con il glorioso supporto del san Carlo, Laura Musella ha chiuso il cerchio di un percorso meritandosi, ancora una volta, il consenso per una efficace scelta intuitiva e per una realizzazione di altissima qualità.