Lo sguardo aperto e sincero di un eterno ragazzino, la profondità di un adulto ben consapevole del fatto che la vita è anche difficoltà, ma che il miglior bastone a cui appoggiarsi nelle scalate dell’esistenza, è rappresentato dal coltivare le proprie passioni.
E di passioni, Mario Menghini, ternano doc, classe 1965, ne ha una grandissima: quella per il vernacolo della sua terra.
Laureato con 110 e lode in Scienze politiche, ha lavorato per 22 anni in una ditta specializzata nella produzione di sistemi di difesa militare. Poi la crisi economica e un periodo di incertezza lavorativa.
Lui però non si è mai scoraggiato. Anzi, di una cosa è certo: i momenti difficili si superano con l’ottimismo.
Così, Mario, approfittando del “tempo libero” forzato ha deciso di coltivare la sua passione per il vernacolo ternano, unita a quella per i classici della fiaba e della letteratura.
Da qui sono nati i suoi libri: “Parole De Terni” (2014), “A Terni se dice” (2015), Terni tra Folklore e Tradizione (2016), “Lu Principe Picchjirillu” (2016) e “Cappuccittu Rusciu” (2017), tutti pubblicati con la casa editrice Morphema.
Noi di Umbria Libera lo abbiamo incontrato e ci abbiamo scambiato quattro chiacchiere.
Mario, come nasce il tuo amore per il dialetto?
«Credo che questa passione sia il più grande regalo che mi ha lasciato mia nonna Sandrina. Lei aveva la quinta elementare, parlava solo dialetto, ma fino alla fine ha scritto poesie. L’amore per la parola e per la musica che nasce dal dialetto della bassa-Umbria me l’ha trasmesso lei».
I tuoi libri sono scritti tutti in dialetto?
«I primi tre in realtà sono scritti in italiano ma parlano del dialetto e del vernacolo, che sono due concetti leggermente diversi, anche se molti (e anch’io), li usano indifferentemente come sinonimi.
Il primo, tuttavia, è relativo ad un’area geografica più ampia rispetto al secondo, il che significa che il dialetto può contenere più vernacoli: ad esempio, il nostro, che è chiamato dialetto “mediano”, comprende il vernacolo ternano, il folignate, l’amerino, lo spoletino, ecc. Il “vernacolo” dunque è un idioma parlato in un’area geografica ristretta, limitata e circoscritta anche “ortograficamente”, come ad esempio la Conca, ma proprio per questo esprime un valore identitario, di appartenenza, molto più forte del dialetto».
E come ti è venuto in mente di iniziare a scrivere sul dialetto e in dialetto?
«»Il vernacolo ha sempre esercitato un certo fascino su di me che provengo da genitori non ternani, dell’area di Foligno e Fossato di Vico per l’esattezza. Poi, con una mamma insegnante sempre molto attenta all’italiano, in casa il dialetto era bandito, tranne a casa di nonna. Lei era di Foligno, parlava un vernacolo molto stretto, bellissimo. Sento ancora la sua voce e la musica delle sue parole quando scrivo. Forse proprio per questo le parole gergali mi hanno sempre affascinato e fatto sorridere… riportandomi indietro nel tempo, come una magia».
Ho saputo che questi libri stanno avendo un grande successo, tanto da essere tra i più venduti della tua città. Te lo aspettavi?
«Sinceramente no, non me lo aspettavo e non era neanche lo scopo per cui li ho scritti».
E lo scopo qual era o qual è?
«Beh, lo scopo non c’è, o è semplicemente quello di dare libero sfogo a questa passione che ho dentro, quella per la ricerca linguistica e per il dialetto. Il motivo di questo successo non saprei neanche spiegarlo in due parole. Magari perché questi libri offrono uno spaccato del vissuto di Terni, ma anche una fotografia del vernacolo così com’è adesso, diverso da quello parlato al tempo di Miselli e di Farinacci ma diverso anche da quello di Brogelli. Il nostro dialetto del resto è in continua evoluzione e ogni tentativo di imbrigliarlo in regole grammaticali e di fissarne i contorni diventa un modo di rendere omaggio ad un determinato periodo storico della città. È anche vero tuttavia che il vernacolo ternano, come quasi tutto il dialetto mediano, è molto più vicino alla nostra madre lingua latina rispetto all’italiano. E anche questo è il suo fascino. Sono innumerevoli le parole che ce lo ricordano, soprattutto la terminazione in “U” dei sostantivi maschili ci riconduce ad un linguaggio, il latino rusticus o se vogliamo il sermovulgaris che non era quello dotto, asettico, dei classici ma quello “storpiato” e parlato normalmente dalla gente e che poi ha prevalso. Questi libri potrebbero dunque rappresentare delle specie di capsule temporali che offrono un’immagine della nostra gente e del nostro vernacolo così com’è ora. Chissà fra cent’anni rileggendo quelle parole cosa ne penseranno i nostri pronipoti».
Hai altre pubblicazioni in stampa dopo queste?
«Sinceramente sì, diciamo che da quando mi è venuta l’idea di trasporre in vernacolo le favole, ho iniziato un piccolo percorso che è anche di crescita personale, e che continuerà con altri titoli di favole famose che la Casa Editrice Morphema sta pubblicando in una apposita collana: Lo Scantafavole. Le ultime, che usciranno a breve, saranno “Li tre Purchitti” che, come è facilmente intuibile, è la trasposizione ironica de “I tre Porcellini”, poi “Lu Mammocciu de Terni”, una libera ed ironica interpretazione vernacolare del Pinocchio di Collodi e infine Bbiancanée. Quest’ultimo titolo però è ancora da decidere; i talebani del vernacolo antico l’avrebbero, infatti, senz’altro chiamata Biancanéa, in quanto per i sostantivi femminili il ternano ammette solo la terminazione in “a”, e dunque la neve, un tempo, a Terni, poteva solo essere la néa… dunque vedremo».
Cosa ti aspetti da questi libri?
«Cosa mi aspetto…? Potrei dire nulla, potrei dire che servono ad offrire alle nuove generazioni gli insegnamenti contenuti nei proverbi o nella grammatica o nelle stesse parole vernacolari… Ma non è esattamente questo, anzi non lo è affatto; in tutti i miei libri c’è dell’ironia e la mia vera aspettativa è proprio questa: quella di regalare un sorriso in chi legge. Ecco, questo per me sarebbe già molto».
LIBRI PUBBLICATI TUTTI CON LA “CASA EDITRICE MORPHEMA”
PAROLE DE TERNI (2014)
Parole de Terni è insieme una grammatica, un piccolo vocabolario e una storia dei paesi che circondano la nostra Conca, ma è una storia ricostruita solamente partendo dalle origini dei nomi di quei posti, una storia dunque degli etimi, breve, curiosa… curiosa perchè a volte nei nomi si nascondono delle sorprese.
A TERNI SE DICE… (2015)
Il libro è una raccolta di proverbi, modi di dire, ma anche di espressioni gergali, in vernacolo, che i ternani quotidianamente utilizzano nel parlare di tutti i giorni, quindi volendo è un po’ uno spaccato di vita della nostra città. Anche se poi vi si trovano espressioni recenti ma anche altre appartenenti al nostro passato. Interessanti le spiegazioni dei detti e come sono nati.
TERNI TRA FOLKLORE E TRADIZIONI (2016)
Questo libro ha la capacità di rievocare uno spaccato di vita di una Terni che fu, attraverso la riscoperta delle sue tradizioni, delle feste, dei giochi, dei canti popolari. L’autore scende in profondità, fino a farci rivivere il modo stesso di pensare della gente in un’epoca in cui la scaramanzia condizionava la vita delle persone, il sapere era tramandato oralmente ed anche la medicina seguiva la via della tradizione con preparati più simili alle ricette di cucina che al farmaco vero e proprio. L’operazione storiografica compiuta dalMenghini è velata di nostalgia e di un pizzico di romanticismo, ma senz’altro stemperati dalla sottile ironia dei suoi tanti scanzonati modi di dire e dalle numerose curiosità offerte al lettore come piccole perle che rendono il testo piacevole, leggiadro e godibile a tutti.
LU PRINCIPE PICCHJIRILLU (2016) e CAPPUCCITTU RUSCIU (2017)
Sono delle libere ed ironiche interpretazioni, in vernacolo ternano, di due grandi classici: della letteratura il primo (Il piccolo Principe di Antoine De Saint-Exupéry) e della tradizione popolare il secondo (Cappucceto rosso raccontata già nel XIV secolo) rivisitate dall’autore in chiave ironica, per un lettore adulto che si sente ancora bambino.