Paolo Genovese, romano, classe 1966, è attualmente uno dei più apprezzarti registi italiani. Grande estimatore di autori del calibro di Mario Monicelli, Ettore Scola e Dino Risi possiede una straordinaria abilità, restituisce alla commedia italiana la sua accezione migliore, quella di ironizzare sulle infinite contraddizioni umane.
Attualmente ha dieci film alle spalle. Ultimo suo successo “The Place”, anno 2017, dopo Perfetti sconosciuti, che incassa 17 milioni di euro e vince il David di Donatello per il miglior film e la miglior sceneggiatura.
Nel 2015 dirige “Sei mai stato sulla Luna?” e l’anno precedente “Tutta colpa di Freud”. Agli esordi pubblicitario, realizza spot di grande successo vincendo numerosi premi. Inizia la carriera di cineasta insieme a Luca Miniero per poi esordire da nel 2010 con “La banda dei Babbi Natale”, interpretato dal trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Il regista in una recente intervista ha commentato con sconforto il calo di incassi del cinema italiano 2017: “La gente non esce di casa per una storia normale”.
E forse per questo gli è stato affidato il compito di condurre il Dopofestival 2018, con l’intento di ricordare al pubblico televisivo l’arte cinematografica. “Il primo giorno della mia vita”, che diventerà anche un romanzo, sarà ambientato a Manhattan, location insolita per il regista e cast altrettanto dissimile rispetto alla precedente filmografia, poiché sceglierà attori americani.
Questa volta si cimenterà in un film drammatico, la storia di quattro persone che dopo aver toccato il fondo cercano di ricominciare.
Ovvero esce dagli schemi, dimostrando coraggio nell’affrontare un nuovo pubblico. “Ho deciso di girarlo a Manhattan, una città magica dove le cose succedono se ci credi. In Italia un po’ meno…”. Amara verità.
I protagonisti dei successi cinematografici
I protagonisti dei suoi ultimi successi, “E’ tutta colpa di Freud”, le esilaranti vicende di una famiglia atipica, “Perfetti sconosciuti”, una storia di coppie sull’orlo di perpetui tradimenti svelati a metà, e “The Place”, singoli individui alle prese con i loro sogni e il prezzo da pagare, per ottenerli, hanno un filo che li unisce. Non conoscono né se stessi né i propri figli, tantomeno i loro partner, e lottano con i loro desideri e i loro demoni remoti. Nascondono tutti una sorta di lato oscuro, ognuna delle loro diverse anime resta un mistero irrisolto dove il confine tra il bene e il male sembra impercettibile.
E’ tutta colpa di Freud: i sentimenti autentici di una famiglia strampalata.
In “È tutta colpa di Freud” Marco Giallini interpreta Francesco, un analista cinquantenne separato con tre figlie, Sara, omosessuale delusa che prova a tornare etero (una straordinaria Anna Foglietta). Emma, diciottenne che ha una relazione con un coetaneo del padre, a sua volta sposato con la donna della quale l’analista è segretamente innamorato, Marta che lavora in una libreria e si innamora di un ladro di libri, e per di più, sordomuto. Insomma, una famiglia surreale per un analista condannato a non saper gestire né le proprie emozioni né quelle delle figlie. E questo è il colpo di genio del regista, Francesco se la prende con impotente ironia con le sue amatissime figlie. Dirà a Sara: “Ci ho messo vent’anni ad abituarmi ad una figlia lesbica, e adesso tu rimani lesbica”. Ad Emma: “Stai con uno di cinquant’anni, e che cazzo?”.
E a Marta quando saprà che si è innamorata di un sordomuto: “Mi stai prendendo in giro, stai scherzando”, fino a imprecare contro il padre della psicanalisi: “Sigmund, dove è che ho sbagliato, dimmelo tu”. Insomma, sia a Francesco che alle sue amatissime figlie i sentimenti sono “Perfetti sconosciuti”, in una perenne contraddizione dove l’analisi introspettiva resta insondabile.
Nella colonna sonora è presente una splendida canzone di Daniele Silvestri dal titolo omonimo e i versi: “Ti stupirei, mostrandomi le mie ossessioni, e la palla dei sogni, ne vogliamo parlare? La verità è che i sogni sono immagini riflesse, sono specchio d’acqua immobile e svaniscono provandoli a toccare” spiegano che, pur non sapendo di chi sia la colpa, le anime dei protagonisti sono alla ricerca della verità sui segreti dell’amore che restano senza risposta. Eppure Francesco e le sue figlie si adorano e i loro sentimenti sono autentici, talvolta le famiglie apparentemente strampalate sono le migliori.
Perfetti sconosciuti, l’apparenza inganna ma la coppia non scoppia
I protagonisti di “Perfetti sconosciuti” al contrario, riveleranno sentimenti alquanto incongruenti. Durante una cena tra amici di sempre, tre coppie e un presunto single verrà proposto un gioco, ovvero lasciare sul tavolo il cellulare e svelare il contenuto di ogni messaggio ricevuto. La pellicola è interamente girata in uno spazio chiuso, e protagonista indiscusso è lo smartphone. Il gioco proposto si rivelerà un espediente narrativo.
La provocazione di Genovese è nel mostrare allo spettatore la dipendenza dalla tecnologia partendo dall’intuizione di Gabriel Garcia Marques: “Ognuno di noi ha tre vite, una pubblica, una privata e una segreta” . E i protagonisti sono terrorizzati dall’idea di renderla manifesta. “Siamo tutti frangibili”, dirà Genovese e “il cellulare diventa la nostra vita segreta”. Che il cellulare sia un killer nello svelare i tradimenti delle coppie apparentemente perfette è storia già nota. E il regista trasmette allo spettatore una “suspence” senza sosta. Il vissuto di ogni protagonista non ha alcuna coincidenza con i desideri e le relazioni che gli stessi esprimono nel mondo segreto dei loro cellulari. Un focus perfetto sulla contraddizione tutta italiana dove l’infedeltà ai rispettivi partner non è riconosciuta neanche con se stessi. La fedeltà resta un dogma assoluto, il coraggio di lasciarsi o almeno affrontare ogni conflitto è escluso a priori, torneranno tutti a casa felicemente inconsapevoli dei loro reciproci inganni. L’indipendenza emotiva resta un miraggio per le coppie italiane, e forse per questo “Perfetti sconosciuti” ha riscosso un enorme successo. Genovese ci fa ridere durante tutto il film, ma la storia raccontata è molto più amara di quanto possa sembrare. Se la fedeltà è un dogma, la soluzione è la menzogna.
The Place, il patto col diavolo.
In “The Place”, un uomo, interpretato da Valerio Mastrandrea, siede in un bar, ha un’agenda ed un potere soprannaturale, quello di realizzare i desideri di “perfetti sconosciuti” che lo raggiungono al tavolo.
E tutti si interrogano su quanto sia alto il prezzo da pagare per ottenere il proprio sogno individuale. È un cortometraggio diverso dagli altri, più intimista.
Questa volta lo spettatore non ride, semmai riflette sulla questione etica. “E’ un film che va a scandagliare i nostri demoni, la parte più nera ci violenta perché ci mette in condizione di identificarci con persone alle prese con la scoperta di qualcosa di terribile che sta prendendo forma nella loro anima”.
Al di là dei numeri del botteghino, e l’indiscutibile successo di “Perfetti sconosciuti”, il regista romano mostra determinazione nell’evolvere, rischiando di non riempire le sale. Staremo a vedere se la sfida americana sarà un successo.
Cristiana Dominici