E’ morto Olmi il pittore dei semplici

Ermanno Olmi è morto all’ospedale di Asiago a 86 anni

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Ermanno Olmi
Ermanno Olmi

Ermanno Olmi è scomparso domenica 7 maggio, dopo una lunga e rara malattia. Con lui, (dopo Folco Quillici e Vittorio Taviani), se ne va un altro pezzo di storia della cinematografia italiana.

Era un regista autodidatta che amava dipingere con la cinepresa le persone semplici nella loro vita quotidiana.

Aveva iniziato la sua carriera fin da giovanissimo, come documentarista.

Nella fabbrica dove aveva trovato lavoro, la Edisonvolta, capirono che aveva più talento come regista che come impiegato, per questo gli fu regalata una macchina da presa 16 mm con la quale girò numerosi documentari inerenti la vita di quella fabbrica, con particolare attenzione alle persone che vi lavoravano.

Lo stile del pittore dei semplici che sapeva spaziare in altri generi cinematografici

Ermanno Olmi era un grande sperimentatore, con l’Albero degli zoccoli, portò per la prima volta sullo schermo il dialetto come lingua ufficiale di un film. Un’altra sua caratteristica artistica era quella di lavorare solitamente con attori non professionisti, quasi a volere cogliere sempre la reale essenza di ogni personaggio e questo era maggiormente possibile attraverso personaggi puri e semplici, privi di qualsiasi finzione.

Ermanno Olimi, dopo la narrazione del quotidiano, aveva spostato la sua attenzione narrativa verso l’allegoria, la storia e la fiaba, era riuscito ad immedesimarsi con la cinepresa in mondi diversi della sua esperienza giovanile, produzioni  cinematografiche comunque piene di suggestiva  poesia ma prive di ansie di tipo commerciale.

Una filmografia ricca, costellata di premi e riconoscimenti.

Palma d’oro a Cannes, due Leoni  alla mostra del Cinema di Venezia, di cui uno alla carriera nel 2008, tanti Nastri e David di Donatello, onorificenze e lauree, Pardo d’onore a Locarno, con un gran successo popolare come “L’albero degli zoccoli”, girato nella sua terra, in dialetto bergamasco sottotitolato, storia delle opere e i giorni di quattro famiglie contadine nel 1897.

Ermanno Olmi  fu anche criticato.  il documentario girato nell’83 sulla Milano, allora ahimè “da bere”, gli provocò i mugugni dei potenti e la scomparsa del filmato dalla tv. Ci furono momenti di distacco col pubblico, il fiasco di “Cammina cammina” sui Magi (“sai che non entrò neanche una persona al cinema quel giorno?” diceva ricordando) e di “E venne un uomo” sulla vita di Giovanni XXIII- Rod Steiger, film sollecitato da Saltzman, il produttore di James Bond; infine della “Genesi”, produzione tv.

Meglio per lui le scritture profane di quelle sacre, giacché nelle pieghe della prime Olmi trovava il senso delle seconde. Un autore che sapeva, per rabdomantico dono, come pochi altri intercettare i bisogni morali: il filosofico religioso “Cento chiodi” con Raz Degan sulle rive del Po per ritrovare un rapporto con la natura e la terra che gli pareva indispensabile per ricominciare (Terra madre, Rupi del vino, Lungo il fiume…): il film gli scoppiò fra le mani con quell’indimenticabile immagine della crocefissione dei libri antichi.

Prevedeva: negli insospettabili anni 60 aveva già intuito la crisi dei modelli di vita omologati e pubblicitari (“Un certo giorno”), la rottura dell’incomunicabilità col senso della nascita (“La circostanza”), il bisogno d’innamorarsi (“La cotta”). Si potrebbe dire che per lui, cattolico fervente ma non allineato (stava con la Chiesa autentica del card. Martini), il cinema era uno strumento di comunicazione spirituale in senso lato. Accadde per “Il mestiere delle armi”, capolavoro premiatissimo su Giovanni dalle Bande Nere, la morte e la polvere da sparo.

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