di Stefano Ragni
Inizia la voce recitante di Leandro Corbucci che racconta la breve storia di Angelo Zampini, mitragliere umbro in postazione nel villaggio di Farla; ricevuto l’ordine di ritirarsi, preferì combattere per salvare la popolazione civile, sparando contro gli austriaci fino a quando fu freddato alle spalle. Solo recentemente ha ricevuto una onoreficenza alla memoria del Comando Interforze.
Si apre così il concerto che la sezione perugina AGIMUS dedica a Valentino Bucchi, “Caporetto. Un viaggio attraverso la memoria un secolo dopo”.
Occasione propizia per legare la manifestazione, che si è svolta ieri pomeriggio, 4 novembre, in una Santa Giuliana gremita di ascoltatori all’attualità della data.
Il concerto cadeva in concomitanza con la giornata delle Forze Armate, col Giorno dell’Unità Nazionale e con la fatidica data della rotta di Caporetto. Una circostanza che il generale Maugeri, dell’arma della cavalleria, Comando Militare Esercito Umbria, tiene a collocare nella modernità, ricordando quel che le Forze Armate hanno compiuto per le popolazioni del Friuli in occasione del terremoto del 1997.
Visto che si tratta di celebrare c’è una bella sfilza di discorsi, quello del presidente del Consiglio Comunale Leonardo Varasano e quello dell’assessore Maria Teresa Severini.
Parole concordi comunque nell’esaltare i valori di un sacrificio di tutta una generazione di “santi maledetti” che si sacrificò sui campi di battaglia per una delle più inutili guerra della storia europea. E niente di meglio sintetizza questo olocausto della frase “Piave, cimitero della gioventù”.
Tenendo fede a una consolidata tradizione di collaborazione tra AGIMUs e militai di Santa Giuliana,il presidente nazionale Salvatore Silivestro ha convocato nella chiesa dell’antico monastero due formazioni corali, i perugini di Colle del Sole e i cadorini di “Voci nuove” di Venas.
Timbri appenninici i primi, affidati alla rilevante professionalità di Paolo Ciacci, e terse e trasparenti armonie alpine nei cantori cadorini capitanati da Paolo de Lorenzo.
E c’è da dire che il coro di montagna, esclusivamente maschile, riceve la sua luce proprio dai tenori, e questi, i pochi, ma appassionati cadorini, ce l’avevano, e lucenti come il ghiaccio di alta quota.
Insieme, perugini e cadorini, hanno percorso il calvario dei motivi legati al dolore della Grande Guerra, da La trodotta, e Col ciufolo a vapore, a Montagne addio, a Era sera, ai lugubri Monte Nero e Monte Pasubio, al martellante Ta-pum. Un momeno di serenità solo con Stelutis alpinis, per poi tornare all’attesa del combattimento, allo strazio del bombardamento, con Ai preat, Laila oh!. Benia cala storia. Nel frattempo Corbucci e Daniela Barra leggevano testi di Montale, di Ungaretti, lettere di giovani soldatini, testimonianze, cronache di una sofferenza che ha coinvolto tutti gli italiani.
Facendo sì, e in questo il generale Maugeri aveva ragione, che si sentissero, nel comune travaglio, un popolo solo.
Per tutti vale la testimonianza di Giuseppe Prezzolini, opportunamente posta in quarta di copertina in un programma di sala da tenere come una reliquia, che parla di “oscure devozioni, solitari eroismi, onestà abbandonate che nessun giornale conosce”.
Si chiude a cori uniti con la “Leggenda del Piave”.
Finalmente cantato come si deve, a fior di labbra, perché è come una preghiera e perché il Piave, “mormorò”, non gridò.