L’ evento itinerante notturno che ha attraversato il centro storico di Todi, “Il Colombre”, è uno di quegli eventi che restano nella memoria.
La leggenda marinara fra le colline dell’Umbria, in ultima replica domenica 28 luglio scorso, è ispirata all’omonimo racconto di Dino Buzzati, una sorta di favola moderna il cui giovane protagonista è Stefano.
La trasposizione teatrale itinerante è stata realizzata da Teatro di Sacco in collaborazione con il Comune di Todi.
Il viaggio della vita di Stefano
si snoda in luoghi insoliti della città, luoghi che segnano quattro momenti della vita di Stefano.
Fin dalla prima stazione, il ridotto del Teatro comunale di Todi, il pubblico resta rapito, complice l’ambientazione e la scenografia dinamica.
Gli attori, Annamaria Wondra, Daniele Wondra, Filippo Rosati, Cecilia Alma Levita, Andrea Coccanari, Laura Percali, Simone Bohemien Mecarelli, Pascale Aoun, grazie alla sapiente regia di Roberto Biselli, iniziano a raccontare il viaggio della vita di Stefano, interpretato da un intenso, straordinario Daniele Wondra.
E’ un viaggio immaginario, appunto una leggenda marinara, una sorta di metafora di quanto la superstizione possa trasformarsi talvolta in maledizione.
Ha gli occhi che parlano, Daniele Wondra nel ruolo di Stefano, complice il trucco e il movimento del corpo, e sanno trasmettere l’entusiasmo del dodicenne Stefano che desiderava diventare Capitano di mare.
“Quando sarò grande, voglio andare per mare come te. E comanderò delle navi ancora più belle e grandi della tua”.
Forse tutti gli adolescenti si innamorano del padre e lo vogliono emulare, e talvolta passano un’intera vita a considerare dogma un pregiudizio che è poi ciò che accadrà a Stefano.
E fu così che il padre lo portò con se, e fu così che Stefano in mare vide “una cosa scura che spunta ogni tanto dalla scia”.
“Quello è un Colombre…è uno squalo tremendo e misterioso…sceglie la sua vittima, e quando l’ha scelta la insegue per anni e anni…finché è riuscito a divorarla”.
E fin dalla prima stazione, un pubblico rapito e coinvolto, segue il viaggio di Stefano, ognuno portando con se il proprio Colombre, metafora di un malessere ereditato e non elaborato.
Guidati dalle note del clarinettista Mosè Chiavoni, si vive una sorta di suggestione, attraversando una Todi Notturna, inesplorata e misteriosa, che sembra un luogo di mare.
Le note del clarinettista riescono ad evocarlo, e ci sentiamo protagonisti della leggenda marinara.
Nel giardino della biblioteca viviamo una sorta di anticlimax, necessario preludio ad un finale insolito, completamente imprevedibile.
Stefano viene distolto dal padre dal pensiero del mare e riceve il dono d’amore più grande, la possibilità di scegliere una vita senza pericoli.
E per qualche tempo riesce a lavorare, divertirsi, innamorarsi.
Stefano però è figlio del mare e parafrasando Vincent Van Gogh
“I pescatori sanno che il mare è pericoloso e le tempeste terribili ma non hanno mai considerato questi pericoli ragioni sufficienti per rimanere a terra”.
E così Stefano, all’età di 24 anni, dopo la morte del padre, che nel frattempo era venuto a mancare, comunica alla madre, totalmente ignara della leggenda marinara, di non voler spezzare le tradizioni di famiglia. Segue così il mestiere paterno, o meglio,
“il pensiero di quella creatura nemica che lo assilla giorno e notte”
La parabola di Stefano si conclude nella Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo
Un finale sorprendente per un racconto che il regista ha definito:
“una metafora, una parabola, un’iperbole sull’incapacità di vincere i propri pregiudizi”.
Strabiliante il contrasto, di una vita, quella di Stefano divorata dalla sua stessa ossessione, e la sdrammatizzazioni degli attori protagonisti che “giocando” con la
Perla del mare
sorridono liberandosi, e liberando il pubblico da ogni malessere in perfetta leggerezza.
Il messaggio di speranza è limpido, trasparente come talvolta è il mare, lo spettacolo crea emozione e suggerisce riflessioni.
Se il Colombre esiste è solo perché noi ci vogliamo convivere.