Loro 1, la genesi del rapporto tra sesso e potere
Considero l’ultimo e attesissimo film di Paolo Sorrentino, Loro 1, un capolavoro assoluto, nonostante la maggior parte delle recensioni cinematografiche siano negative ed il film è stato escluso dal festival di Cannes 2018.
Il regista, vincitore del premio oscar per La grande bellezza del 2013, ha scelto di dividerlo in due capitoli. La seconda pare, Loro 2, uscirà il 10 maggio.
A Paolo Sorrentino è bastato un ciack per far parlare del dittico ispirato alla vita di Silvio Berlusconi e a far riempire multisale e cinema d’essai di un pubblico variegato, molto più vasto degli amanti de la grande bellezza della regia sorrentiniana.
Poiché lui, Silvio Berlusconi è ancora presente e squisitamente irriverente sulla sceneggiata politica del piccolo schermo.
Mistero tutto italiano, nonostante la sentenza di primo grado del processo sulla trattativa Stato-Mafia nella quale il cofondatore di F.I. Marcello Dell’Utri è stato condannato per aver fatto da – cinghia di trasmissione – tra le richieste di Cosa Nostra e l’allora governo Berlusconi.
Forse è proprio il mistero che il regista vuole inscenare, il fascino che Silvio Berlusconi esercita sull’elettorato italiano.
E perciò Loro 1, non è un film su lui. E neanche su Loro, quelli che contano (lo dirà Scamarcio, alias Tarantini, nel film) poiché lui, senza loro, ovvero gli italiani, non esisterebbe.
Non a caso, che i giudici siano deviati mentali, lui lo spiegherà al nipotino durante il film, oltre ad averlo ripetuto almeno un migliaio di volte durante la sua strepitosa carriera.
E così, Paolo Sorrentino inscena la farsa del potere
e si diverte a sbeffeggiarla attraverso esilaranti metafore la cui interpretazione è lasciata al libero arbitrio dello spettatore, il regista se ne infischia di esprimere un giudizio.
E quindi è
Tutto vero, tutto falso o meglio tutto documentato, tutto arbitrario
come scriveva Giorgio Manganelli, citato all’inizio del film, in modo da escludere denunce al regista e attacchi cardiaci a Silvio Berlusconi.
In tutto il film, Loro 1, ambientato nell’arco temporale compreso tra il 2006 e il 2010, realtà e finzione si alternano. I personaggi sono veri e verosimili, ed il focus si concentra sulla costruzione della mignottocrazia, termine inserito nel vocabolario Treccani e inventato da Paolo Guzzanti nel libro del 2010, Mignottocrazia, la sera andavamo a ministre ispirato agli scandali sessuali con Berlusconi protagonista.
Prima scena, una pecora, gli italiani, forse? guarda uno – strumento autoritario di trasmissione di idee – (Pierpaolo Pasolini) , la televisione, che trasmette un quiz di Mike Bongiorno. Il climatizzatore, ovvero il cervello, segna zero gradi. La pecora muore. O semplicemente il cervello indicizza lo zero assoluto, poiché è optional.
Primo tempo: La costruzione della mignottocrazia
Che il cervello sia un optional, è chiaro in tutto il primo tempo di Loro 1.
Sergio Morra (Riccardo Scamarcio) ispirato all’imprenditore pugliese e faccendiere Gianpaolo Tarantini (accusato di procurare escort a Berlusconi e che si difese sostenendo che l’utilizzatore finale fosse l’allora Premier) insieme alla moglie Tamara (Euridce Axen), e all’ape regina Sabina Began hanno un’unica aspirazione, conoscere Loro, i potenti, e soprattutto lui.
L’obiettivo è il reclutamento di un esercito di aspiranti escort,- le puttane migliori -, dispensando cocaina. La prima, Candida, nome immaginario e ambivalente, di candido nel film c’è solo la cocaina, campionessa di ginnastica artistica consegna il curriculum, ovvero la mercificazione del corpo, e nella scena di sesso appare in bella vista un tatuaggio di lui sul fondoschiena.
Ovvero, lui il miraggio, la meta agognata. Un primo tempo dinamico, l’eccitazione è chimica e l’unico obiettivo raggiungere la notorietà, ovvero il potere attraverso il sesso.
Il colpo di genio (si fa per dire), di Sergio Morra, alias Tarantini si concluderà nell’organizzare una festa davanti alla villa in Sardegna di Silvio Berlusconi, con la schiera al completo delle aspiranti veline, rigorosamente seminude, in trepidante attesa di conoscerlo.
E forse per questo il film non è piaciuto ai sorrentiniani doc, è l’opposto della contemplazione della Grande Bellezza, il precedente capolavoro del premio oscar, poiché il ritmo è frenetico.
Loro non ha neanche alcuna similitudine con il Divo, il film del 2008 su Giulio Andreotti. Il divo era sinistro, grottesco, ombroso, ma seppur subdola quella raccontata era ancora una democrazia. E per assurdo ora, in mignottocrazia, quelli sembrano – i migliori anni della nostra vita -, la canzone che il divo cantava con la moglie.
Il regista inscena la genesi del – ciarpame senza pudore –
denunciato da Veronica Lario, che raccontò, dopo l’indimenticabile diciottesimo di Noemi Letizia, e la sorpresa di Papi che si presentò al party, e senza mezzi termini, l’ex marito, ovvero – il drago e le vergini-.
E’ tutto in nome del potere, per rincorrere successo e notorietà, disse Veronica Lario.
E Paolo Sorrentino durante tutto il primo tempo cambia stile perché il business al quale aspira Sergio Morra (alias Tarantini), arrivare a quelli che contano, è atto di mediocrità assoluta, e obiettivo primario. Le immagini non possono riscattarla, ma solo rappresentarla, e che di immondizia si tratta, è chiaro.
La miglior metafora dopo quella della pecora stecchita davanti al piccolo schermo è la scena nella quale un camion uscendo di strada fa volare l’immondizia davanti agli occhi attoniti della corte dei miracoli. Immondizia che si trasforma in pasticche colorate di droghe sintetiche, poiché la cocaina, onnipresente, non è abbastanza.
Non è necessario chiamare in causa Martin Scorsese per giustificare il dinamismo elettrico del film, il ciarpame è immondizia per sua natura.
Inseguire la notorietà è il sogno tossico e sintetico dei protagonisti impasticcati e apparentemente felici.
Sergio e la moglie Tamara tirano strisce di cocaina stese sul libro di lui, Berlusconi e il default in performance durante il rapporto sessuale rappresenta quanto il sesso sia un mero mezzo, e non un piacere.
Secondo tempo: Silvio e Veronica in Sardegna
Silvio Berlusconi, una caricatura, interpretato dal fido Toni Servillo appare solo nel secondo tempo, nella sua villa in Sardegna, concentrato nella riconquista di una poco credibile e annoiata Veronica che legge libri – comunisti – e rivendica al marito di non aver mai prodotto un – programma culturale – .
Riconquista che presumibilmente si rivelerà fallimentare, ma questo lo vedremo, forse, in Loro 2.
E’ un ritratto bonario, quello di Silvio, ancora inconsapevole della corte dei miracoli che organizza un festino davanti alla sua villa per conoscerlo.
E poiché il regista del potere se ne infischia vediamo un Servillo reso una maschera ridicola e patetica, con una mimica da film comico, una sorta di beffa al presunto, per il regista beninteso, potere del Papi.
Che il potere sia tutto nell’incredibile capacità di raccontare bugie di Silvio Berlusconi è chiaro in una scena tra nonno e nipote.
– Nonno, hai pestato la cacca. Non è vero. Ma ti ho visto… –
E il nipote alla fine gli crede, anche se l’ha visto con i suoi occhi pestare la cacca.
Il nonno, e futuro papi di Noemi Letizia, poi gli spiegherà l’arte della dissimulazione.
E perciò il Tutto vero, tutto falso, tutto documentato, tutto arbitrario invita ad una riflessione che potremo esprimere solo dopo aver visto Loro 2.
– Io non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me -, è la famosa frase Giampiero Alloisio citata da Gaber, poiché loro, quelli che contano, e lui non sono niente senza di noi.
E talvolta, ricordarlo sarebbe cosa buona e giusta. Naturalmente ad ognuno il suo libero arbitrio, si chiama democrazia.