“Petite messe solennelle” in San Pietro

Una celebrazione dei 150 anni della morte di Rossini

0
1834
La Stagione Armonica - Foto di Adriano Scognamillo

di Stefano Ragni – Un Rossini paraliturgico, la Petite Messe Solennelle, anziché lo Stabat Mater che sarebbe stato più consono all’imminente ricorrenza pasquale. Ma si sa dei costi immani di coro e orchestra, nonché solisti di rilievo. E bisogna contenere l’impegno e puntare, con orgoglio, su una produzione esclusiva. E’ questa la chiave con cui va vista positivamente l’offerta rossiniana promossa dagli Amici della Musica per il secolo e mezzo  di felicità che ci ha regalato il grande pesarese. Oltretutto con l’impiego di una formazione vocale di alto spessore e un cast di solisti dove figuravano due belle voci del rinnovato panorama esecutivo umbro, il mezzosoprano Marina Comparato e il baritono Mauro Borgioni.  Due interpreti che oggi cantano dove vogliono, rinvigorendo una tradizione tutta perugina del rapporto col palcoscenico del teatro d’opera. Con le necessarie trasmigrazioni alla pedana concertistica, ove ne occorra la contingenza.

Nella basilica di san Pietro deturpata da un palco di restauro (ma anche questo è necessità) il complesso vocale La Stagione Armonica si è presentato sotto la direzione del suo fondatore, Sergio Balestracci, per riprodurre quell’ossimoro con cui il Rossini anno 1863,  quindi poco più che settantenne, volle cantare le lodi del Signore in un asciutto linguaggio cameristico. Una deformazione del gusto, più che dello spirito, un guizzo ermeneutico di approccio al sacro che sa di Renan e di Sabatier, un’ apertura “modernista” al laicato della liturgia, proprio per quel pianoforte che in chiesa proprio non avrebbe dovuto mai entrare.

Confezionandosi, con vero mordente eracliteo, il suo funerale sonoro, il pesarese scelse la casa di un banchiere, uno di quelli che lo fecero diventare ricchissimo con le speculazioni finanziarie, per propiziarsi il suo prevedibile accesso in Paradiso.  Ma, siccome non si sa ma, ecco la precauzionale dedica al Buon Dio, caso mai lo si sapesse distratto da altre cure.

Dietro questo piccolo teatro alla Jean Cocteau c’è il Rossini contrappuntista del Liceo Filarmonico  di Bologna e dei dogmi di padre Mattei, un maestro che ha fatto cantare Mosè, ma che ha anche inebriato  gli ascoltatori napoletani con una Messa di Gloria che strappava applausi in chiesa. E con un tenore in agguato, quelli della tempra di Nozzari, di David, di Garcia, pronti a spaccare vetrate con un acuto ben riuscito.

La Stagione Armonica – Foto di Adriano Scognamillo

Ieri sera con un pubblico raccolto in spazi più limitati, la basilica di san Pietro ha offerto le sue eleganti navate per rinnovare quell’antico ricordo dello Stabat Mater ivi diretto dall’ormai mitico Guido Carlo Visconti di Modrone che qui inaugurava nel settembre del 1937 la prima edizione, argonautica, della Sagra Musicale dell’Umbria.

Per la Petite Messe  bisognerà aspettare il 1954, ma nella sala dei Notari, con una replica nel 1974. Titoli che si disperdono nella storia degli ascolti perugini, ma che portano sostanzioso limo a una tradizione culturale che ancor oggi vive grazie alla tenacia di Perugia Musica Classica. La Fondazione che non molla.

La Stagione Armonica – Foto di Adriano Scognamillo

Per accrescere una tinta di ricorrenza all’evento gli Amici della musica hanno pensato di proporre una esecuzione in parte filologica, con un pianoforte Pleyel offerto dalla Accademia  Bartolomeo Cristofari, uno strumento, oggi conservato al Conservatori di Bologna, che, con autenticazione  certificata, è passato per le mani di Rossini stesso, magari un po’ meno percosso da quanto ha fatto Jin Ju, una deliziosa figura femminile  con l’energia di un drago. Accanto a lei un suonatore di harmonium, Carlo Steno Rossi, sullo sgabello di un vigoroso Richard 1886 che suona senza alcun restauro.

La Stagione Armonica – Foto Adriano Scognamillo

Balestracci dirige tutto, anche i solisti quando sarebbero soli col pianoforte, e si concede alcuni fraseggi non previsti  da Rossini: e ci scappa anche un piccolo incidente. La polpa timbrica dell’insieme vocale è a prova di ritmo e di intonazione: filano tutti col vento in poppa e hanno ragione anche degli intricati momenti polifonici, i meno belli peraltro della partitura, il finale del Gloria e l’inizio del Credo. Le parti dei solisti sono state ricoperte con vera efficacia dal soprano Elisaveta Martirusyan, dal tenore Emanuele D’Aguanno, che ha agguantato il Domine Deus quasi con rancore, avendo ragione comunque degli impervi acuti da applauso. Il baritono Mauro Borgioni è ancora una volta elegante come un moschettiere di Dumas e evidenzia quella sua particolare intelligenza strategica con cui sa distribuire le sue energie vocali. Tutti col fiato sospeso per Marina Comparato, mezzosoprano di trasparenza, duttile quanto occorre per traghettare il finale Agnus Dei verso l’applauso, Ma prima ci sono quelle battute affidate al pianoforte, con quel battito cardiaco che sembra spegnersi, lo sguardo  rivolto  a qualcosa che è già al di là della vita. Non è Claudel, è Bernanos.

La Stagione Armonica – Foto Adriano Scognamillo

Amici della musica più che contenti, con replica integrale dell’Agnus e successo personale per Marina.

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo sui Social