di Stefano Ragni
La musica di Schumann, per la sua complessità e per la sua distanza da orecchie non-informate può sembrare la meno idonea ad inaugurare una stagione.
Eppure questo è avvenuto venerdì 10 novembre, al teatrino Cucinelli, cornice gonzaghesca che profuma degli aromi rinascimentali del ducato di Sabbioneta, piccolo cortile di saggi e di filosofi.
Il Trio Metamorphosi ha sfoderato le sue carte migliori per sottolineare il suo impegno con un progetto-Schumann che parte da lontano e lontano sta andando.
E i risultati sono stati quelli che ci si aspettava da un’esecuzione di classe: entusiasmo del pubblico e consenso alla proposta.
Con poche sobrie parole Federica Cucinelli all’inizio della serata si è rivolta al pubblico sottolineando come il primo concerto dell’ottava stagione dell’omonima fondazione coincidesse con il primo appuntamento di una sinergia che si è creata con la Fondazione Perugia Musica classica.
Una questione di opportunità suggerita anche dalla necessità di far fronte ai molti impedimenti che oggi rendono difficile ogni esercizio culturale.
Analoga soddisfazione si respira in casa Perugia Musica Classica, con la presidente Anna Calabro che dichiara, innanzitutto di aver molto apprezzato gli esecutori, due dei quali, come si sa, i fratelli Pepicelli, sono ternani.
“Offrire la nostra disponibilità alle iniziative dei Cucinelli -dichiara -, arricchisce anche le nostre possibilità, crea una condivisione virtuosa e moltiplica le possibilità per tenere in vita la musica colta che mai, come in questo momento rischia di essere spazzata via dal contesto generale della cultura italiana”.
I Metamorphosi, da parte loro, ce l’hanno messa tutta, prodigandosi anche nelle letture propedeutiche all’ascolto preparate da un insigne musicologo come Quirino Principe. Esegeta di spessore altissimo, ma la drammaturgia ha altre leggi e altri ritmi.
Quel che ha maggiormente convinto è la coesione creata da un programma distribuito su due sole produzioni: i Pezzi Fantastici op. 88, che Principe indica come l’aurora, e il trio op, 110, analogamente definito “il compimento”.
La formazione violino, violoncello e pianoforte, che ha i suoi vertici in Beethoven e Brahms, in Schumann fu un fatto sofferto, un percorso difficile, stante la difficoltà di arginare, nel piccolo contesto cameristico, la sua ispirazione debordante, contorta, sofferente di ariosità.
Attorcigliandosi nel due partiture i tre Metamorphosi, facendo leva preziosa soprattutto sulla perfetta aderenza e integrazione sonora dei due fratelli ternani, ha riprodotto, in sintesi, un percorso suggestivo.
A partire dalle iniziali fantasie dell’op. 88 che hanno avuto la preziosa riproduzione del Finale come lo aveva pensato inizialmente Schumann. Un tema con variazioni di dodici minuti, quasi la totale estensione degli altri tre, con avvitamenti della scrittura che si muove su un tema e cinque variazioni. I Metamprphosi sono stati i primi a risuonare questo Finale in tempi moderni, e gliene siamo grati.
Per l’op. 110 Schumann ricavò, come guadagno, il corrispettivo di circa seimila euro, un’enormità anche per lui, La musica naturalmente non ha prezzo, ma c’è da dire che sarebbe difficile valutare in termini economici un movimento come il “Ziemliche langsam”. E’ un parlare oscuro, in metafore poetiche e appartiene allo Schumann migliore.
Pubblico in fermento e necessità di un fuori programma, che il delizioso Scherzo di un trio di un Bernstein diciannovenne. E siccome si insiste arriva anche lo Scherzo dell’Arciduca. Solennemente burlesco, un ossimoro che Beethoven ha saputo realizzare in più di un contesto.