di Stefano Ragni – Raramente un concerto domenicale degli Amici della musica di Perugia è stato sottolineato da un rituale così umanamente composto. Il ritorno di Sir András Schiff, ieri pomeriggio, sotto le volte della sala dei Notari, che nel 1984 lo applaudì per le integrali del Clavicembalo ben temperato di Bach, ha rinnovato emozioni lontane. E soprattutto ci ha unito intorno a donna Ilaria Borletti per ricordare, con lei, la memoria di Franco Buitoni, aristocratico signore della grande musica cittadina.
E’ stata la presidente di Perugia Musica Classica, Anna Calabro, a prendere per parola, sottolineando come, senza lo storico mecenate la musica perugina non sarebbe stata la stessa: «I Buitoni hanno saputo legare la loro dinastia alla salvaguardia di una assoluta qualità dei livelli artistici, tenendo fuori gli Amici della musica da qualsivoglia coinvolgimento che non fosse quello della giustizia e della equità».
Poi, a sorpresa, quando Andras Schiff prende il microfono, il silenzio si fa pesante, perché le parole di uno pianista che da più di trent’anni si esibisce in tutto il mondo, avranno pure un personale valore.
«Quello dei Buitoni – ha dichiarato Schiff in un ottimo italiano – è un nome che suona alto ovunque, per quanto da loro è stato fatto per coloro che amano l’arte, la cultura e l’educazione».
E con la felpata eleganza che gli è propria, Schiff ama sottolineare come in mattinata, in casa Borletti-Buitoni, abbia potuto rimettere le mani sulla tastiera di quel pianoforte Bechstein che, già quando era in villa san Prospero, è stato accarezzato da tante dita: da Backhaus, Gieseking, da Kempff, da Rubinstein, da Serkin, insomma dal Gotha del pianismo storico.
Con un tono di recitazione che sembra abbassarsi di livello col progredire del discorso, Schiff approfondisce il tema della sua breve allocuzione, che è quello dell’appartenenza della musica alla cultura europea nella sua globalità, e all’apertura che le discipline sonore devono mantenere verso tutta l’umanità. Riflessioni che, pronunciate da un magiaro che è stato minacciato dai nazionalisti ungheresi, acquistano un peso particolare.
Ha chiesto, Schiff, di poter tenere il suo concerto senza intervallo e ha aperto la sua prestazione con un numero bachiano, il “Concerto italiano”, emblematico di quella visione “europea” che anche il vecchio Cantor manifestava come poteva. In Italia non ha potuto viaggiare, ma la sua conoscenza spaziava su generi e stili coevi, con piena comprensione di quanto era stato elaborato. Dopo aver suonato col nitore, la classe e la fluidità con cui, dopo le puntualizzazioni degli anni ’80, Schiff ha dato nuovo corso all’esegesi bachiana, il pianista che si fregia del titolo di Sir, ha elegantemente introdotto la violinista Yuuko Shiokawa, sua consorte.
Giustamente si diffida sempre delle formazioni “di casa”, per gli ovvi motivi di prevedibile convergenza ed equilibrio delle parti, dati per scontati quando si vive gomito a gomito. E forse Schiff ha premuto un po’ troppo sulla sua generosità affidando praticamente la quasi totalità della serata a una musicista che non niente da lasciar desiderare in fatto di suono, di colore, di levigatezza e di presenza stilistica.
Il fatto è che la grandezza di Schiff è tale che non andrebbe condivisa con nessuno, e forse questo avrebbe desiderato il pubblico.
Ma, alla resa dei conti, tutto è stato di elevato spessore narrativo, dalla Sonata La Primavera di Beethoven, alla sonata K 526 di Mozart, che ha chiuso il programma in posizione inusuale. E qui, forse, l’intreccio moglie-marito, ci ha guadagnato molto in fatto di sovrapposizione-opposizione. Soprattutto considerando il fatto che questa sonata in la maggiore, che appartiene alla tarda produzione del salisburghese, è molto complessa proprio nella parte violinistica: la signora Shiokawa non si è fatta desiderare in scioltezza e flessuosità, con un senso assoluto dell’intonazione.
Si vorrebbe dire qualcosa di più su Schiff, ma la sua perfezione rende superflua ogni ulteriore aggiunta.
Parliamo piuttosto del bis, che è stata l’intera Sonata in mi minore, il capolavoro con cui Mozart salutò la madre, scomparsa repentinamente a Parigi. Nessuno ha tirato un fiato quando i due ospiti, che, ricordiamolo, offrivano a titolo di pura amicizia la loro presenza, hanno volteggiato con una leggerezza senza peso, trasformando le volute rococò in lacrime di perla.
«Franco Buitoni è ancora qui tra noi» – aveva detto Anna Calabro. Ne siamo tutti convinti.