di Stefano Ragni – La pianista olandese Monique Copper e l’oboista guatemalteco Joaquin Paniagua hanno suonato nell’aula magna per il concerto di fine corso.
Impronta marcatamente internazionale, come è nella vocazione dell’ateneo per stranieri. Capace di attrarre anche musicisti di varie provenienze e di diversificate estrazioni culturali, pronti a testimoniare, con il suono dei loro strumenti, l’affetto per l’istituzione che li ospita.
Fermo restando che il musicista più illustre rimane il mitico direttore d’orchestra Lorin Maazel, che sedette sui banchi del Gallenga nel lontano 1954, quando era borsa di studio Fulbright, altri personaggi del panorama mondiale si sono affacciati a più riprese nei corsi di lingua e cultura italiana, pronti ad afferrare il segreto del particolare suono della lingua italiana. Quello che, nel lontano 1789, Charles Burney, l’iniziatore degli studi storici musicali definì nella sua “A general history of music” qualcosa come “more sonorous, more sweet, and more easy”.
Tra i direttori d’orchestra, in tempi più recenti, vanno ricordati Steve Mercurio, di casa ai Due Mondi di Spoleto, e Oleg Caetani. Non pochi i cantanti come gli americani Brian Dor e Maria Gabriella Landers, protagonisti delle cerimonie per gli ottant’anni dell’Università, e le indimenticabili, affettuose presenze, delle ragazze giapponesi, Chihiro, Ayumi, Cieko.
Ora, per la fine dei corsi trimestrali di autunno si sono presentati nell’aula magna, per i concerti promossi dal Cearc, centro di coordinamento delle attività culturali e spettacolari ottimamente gestito da Ambretta Febbroni e dai suoi collaboratori, due musicisti professionali provenienti da due paese lontani.
Li ha uniti la musica fatta insieme in un concerto che ha propiziato il clima natalizio che al Gallenga, è anche intriso di uno spirito di separazione. Poco prima delle festività tutti tornano al loro paese e a gennaio si ricomincerà con altri volti e altri suoni.
La pianista olandese Monique Copper, nativa di Leida, ha frequentato un corso a2, praticamente quello per avventizi e principianti, ma era qui solo per l’amore per la lingua italiana. Impressionante il suo curriculum che parte da una segnalazione del premio Gaudeamus di Amsterdam e si segnala per perfezionamenti di studio negli Stati Uniti.
Tutte cose che l’hanno portata a una brillante carriera internazionale. La sua presenza nell’aula magna si è concretizzata con l’esecuzione di tre pezzi del suo repertorio, Wasserklavier di Berio, “Chiaroscuro” del conterraneo Jets e un travolgente Debussy del preludio “Ce qu’a dit le vent del’Ouest”.
Appena diciottenne era invece l’oboista Joaquin Paniagua. Viene dal lontano Guatemala dove ha appena terminato il liceo.
Il suo strumento lo sa suonare molto bene, grazie all’insegnamento di ottimi maestri. La lingua italiana è nata per la frequentazione coi religiosi italiani presenti a Città del Guatemala, e si è trasformato, per lui, in idioma della comunicazione musicale.
Joaquin ha suonato per due volte in due diverse manifestazioni, interpretando pezzi di Hindemith e di Schumann. Ma per il concerto di commiato ha voluto suonare il Concerto di Alessandro Marcello, la struggente pagine della civiltà veneziana immortalata dal celebre film “Anonimo veneziano”. A chiusura della sua esperienza italiana una versione strumentale di una canzone napoletana “Core n’grato”.
«E’ stata per me la prima volta, ha dichiarato Joaquin. Suonare musica italiana nel paese che l’ha espressa è stato un sogno indimenticabile».
Stefano Ragni