Teatro di Sacco: sabato 1 dicembre alle ore 21.00 e, in seconda replica, domenica 2 dicembre alle ore 17.30 nell’ambito della Stagione INDIZI 2018-2019 va in scena Emanuele Salce con la sua pièce “Mumble Mumble, Confessioni di un orfano d’arte”, per la regia Timothy Jomm, di Emanuele Salce e Andrea Pergolari, con Emanuele Salce e Paolo Giommarelli.
(Info & prenotazioni 3206236109)
Emanuele Salce, classe 1966, è figlio naturale dell’indimenticato “Pilantra”, l’eclettico attore, autore, regista, sceneggiatore, conversatore Luciano Salce, morto per arresto cardiaco nel 1989, all’età di 67 anni.
Luciano Salce è stato protagonista dello spettacolo italiano per almeno quattro decenni, dagli anni quaranta agli anni ottanta, rappresentando con umorismo irridente l’Italia post fascista.
Due funerali e mezzo è il racconto in tre tempi della vicenda personale e artistica del doppio figlio d’arte Emanuele Salce.
Racconto ironico, dissacrante, intimo e coraggioso, il vissuto di figlio di due uomini straordinari, il padre Luciano Salce e il compagno della madre Diletta D’Andrea, Vittorio Gassman.
Emanuele Salce, non solo porta il cognome del padre, ma ha anche un’altra eredità importante, quella di essere cresciuto nella famiglia Gassman fin dall’età di due anni, da quando sua madre diventa la compagna di vita di Vittorio Gassman, nonché la madre dell’ultimo Gasmann, Jacopo, attualmente giovane regista.
L’avere per padre due mostri sacri è condizione certamente privilegiata ma impegnativa. Mumble Mumble era il suo soprannome, una sorta di borbottio per manifestare i suoi timori nel parlare, le sue ritrosie, un destino a rischio di diventare invisibile, schiacciato da due indiscutibili talenti artistici. Se si sceglie lo stesso settore all’inizio le porte sono spalancate, il cognome conta.
Innumerevoli gli esempi di figli d’arte che non hanno saputo replicare i successi paterni, gravosi come una spada di Damocle sulla testa.
Solo per citarne alcuni, Luca De Filippo non ha saputo essere “grande” quanto Edoardo, Jacopo Fo è rimasto “schiacciato” dalla personalità di Dario, nonché anche della madre, Franca Rame.
Alessandro Gassman e Gianfranco Tognazzi addirittura pensarono da giovanissimi di non seguire le orme dei rispettivi padri, Vittorio e Ugo, oppressi da questi due straordinari “mattatori”, in scena e nella vita.
Forse proprio per questi motivi ” Mumble Mumble, confessioni di un orfano d’arte” è risultato un piccolo capolavoro.
E’ stato presentato per la prima a volta al Teatro Cometa Off di Roma nel 2010 con Andrea Pergolari come co-autore. L’anno precedente Emanuele aveva raccontato (e quindi rielaborato) la figura del padre nel libro “Luciano Salce. Una vita spettacolare” e nel documentario “L’uomo dalla bocca sporca.”
Mumble Mumble
vanta oltre trecento repliche in Italia e innumerevoli apprezzamenti dalle critiche nazionali. Lampante dimostrazione dell’essere riuscito, Emanuele Salce, a superare il senso di inferiorità, con la conseguente fragilità artistica, dell’essere erede e possedere memoria di due giganti, Salce e Gassman appunto, presenze ingombranti e castranti in vita per come da loro è stato “gestito e trattato” (ma più in generale bisognerebbe dire per come i due artisti “gestivano e trattavano” tutti i loro rapporti col mondo), subendone la supponenza o l’assenza, persino dopo la loro scomparsa, quando il loro ricordo non riusciva ad abbandonarlo.
Emanuele Salce ha dichiarato in un intervista: “Io racconto il giorno in cui questi due signori se ne sono andati. Fondamentalmente gli unici due episodi che loro non hanno potuto raccontare e che avrebbero sicuramente raccontato molto meglio di me”.
E così “l’orfano d’arte” con grande ironia racconta i “due funerali… e mezzo”, un sapiente mix tra divertimento ed emozione.
Nel primo racconto rivive da figlio poco più che ventenne, il giorno della morte di suo padre, quando una domenica pomeriggio, reduce da una nottata di eccessi si trovò a gestire l’evento in condizioni pessime.
Nel secondo, da trentenne più lucido e consapevole, rivive il giorno della scomparsa di Vittorio Gassmann.
Il terzo è la metafora del suo funerale, vissuto attraverso l’incontro con una bionda australiana e una défaillance occorsagli in un museo di Sydney, con un finale in crescendo, fino a giungere ad una vera e propria liberazione non solo simbolica.
Confessione pubblica dell’uomo e dell’attore che mostrando le ansie e le paure che lo hanno tormentato si trasforma in una vera e propria catarsi necessaria al superamento della fragilità artistica intrinseca di essere, suo malgrado, erede di due protagonisti indiscussi dello spettacolo.