In occasione dei 50 anni dalla prima versione di Mistero Buffo del Maestro Dario Fo, sul palco del Todi Festival, Eugenio Allegri dirige uno straordinario attore, Matthias Martelli, classe 1986, nella riproposizione della giullarata popolare considerata il capolavoro della produzione di Fo, alla quale seguirà il debutto nazionale il prossimo 15 ottobre dal teatro Gobetti di Torino. Con Matthias Martelli e la sua splendida famiglia, che salutiamo, abbiamo condiviso momenti indimenticabili durante la full immersion nella rassega tuderte.
A Matthias, reduce dall’ irresistibile monologo in due tempi che esplora sacro e profano, abbiamo posto alcune domande.
L ’anteprima nazionale di Mistero Buffo al Todi Festival è stato uno strepitoso successo celebrato sia dai media, da Rainews alla vita in diretta, sia da critici autorevoli, da Enrico Bernard a Rodolfo di Gianmarco, e molto altro. Dal 15 al 27 ottobre sarai al Teatro Gobetti per il Teatro Stabile di Torino, quali emozioni ti ha lasciato l’esperienza tuderte?
“L’esperienza di Todi è stata bellissima, e soprattutto un lavoro straordinario dal punto di vista comunicativo, perciò sicuramente un grosso sbalzo in avanti per me ed Eugenio, anche se avevamo già qualche sicurezza. Torino è una delle mie due città e quindi sarà un’ esperienza importante, al Teatro Gobetti non sono mai stato. Le emozioni più forti le ho vissute con i primi debutti delle prime giullarate, noi mettiamo in scena Mistero Buffo dal 2017”.
Allo Stabile di Torino riproporrete le stesse giullarate della spettacolo tuderte?
“Ancora ci stiamo pensando, Mistero Buffo ha la peculiarità di essere uno spettacolo componibile, a Todi essendo un’anteprima abbiamo presentato tutte le proposte che avevamo”.
Hai raccontato che da bambino, ad appena dieci anni i tuoi genitori ti hanno fatto vedere la cassetta Rai di Mistero Buffo, e per te è stata una sorta di rivelazione. Suggestione che hai perseguito con determinazione fino ad essere protagonista di questa edizione dei 50 anni del capolavoro del Premio Nobel. Come hai iniziato?
“Sono partito con un mio testo, “Il mercante di Monologhi”, facendo Teatro nelle piazze e scoprendo una dimensione fisica, mimica e gestuale che funzionava, e ho pensato che c’erano i presupposti per rifarlo.”
Ti sei mai chiesto se portare in scena Mistero Buffo, considerando l’immenso valore dell’eredità artistica che ci hanno lasciato Dario e Franca fosse un rischio?
“Mi sono buttato in questo spettacolo, in maniera molto incosciente, o meglio istintiva, perciò non ho avuto paura, o dubbi o crisi, semmai momenti di tensione. Per esempio, quando ho fatto il video di Bonifacio VIII da mandare a Dario Fo ero teso, avevo le telecamere e poche persone davanti, che potevano anche non ridere. Gli inizi sono stati più macchinosi, ma se ti dicono solo che sei bravo è troppo comodo. Noi abbiamo costruito un sistema di debutto a prove aperte. Durante una prova uno spettatore commentò:
‘E’ impossibile, è come scalare l’Everest in mutande’.
senza lasciarmi speranza alcuna, ma se sei fermamente convinto riesci”.
In qualche modo sei riuscito a scalare l’Everest in mutande. Hai conosciuto Dario Fo, premio Nobel per la letteratura e uno degli autori più rappresentati al mondo. Come sei riuscito nell’impresa?
“Ero iscritto all’Atelier di Teatro Fisico a Torino, una scuola eccezionale. Uno degli esami da sostenere era mettere in scena la vita di un autore, e scelsi Dario e Franca. A loro mandai una mail completamente folle, dove scrissi che erano stati i miei ispiratori e che avevo iniziato a fare Teatro grazie alla loro suggestione. Non ebbi subito risposta, e non mi persi d’animo, la inoltrai di nuovo. E Dario rispose”.
Immagino la tua emozione. Un premio Nobel che risponde ad uno studente. Quanti anni avevi, e soprattutto, qual’è il tuo ricordo di Dario?
“Dario ed io abbiamo esattamente sessanta anni di differenza, siamo nati nello stesso giorno, il 24 marzo. Dario è del 1926 ed io del 1986. Sono andato ad Alcatraz a conoscerlo, è una persona di incredibile umiltà. Una delle cose che ricorderò di più è quando disse:
‘Nella mia vita le cose più importanti sono state le crisi’.
Detto da un Nobel che era l’espressione della felicità, immagini che se stai vivendo una crisi, dietro al muro c’è un’occasione da cogliere”.
Oltre al talento, hai un’altra splendida dote, uno sfrenato ottimismo e un incredibile coraggio in un momento di profonda crisi del Teatro. Una sorta di ‘scelleratezza’ in perfetto stile Fo.
“Sicuramente sì, non ho fatto un accademia classica, non mi ha chiamato nessuno, sono stato io a cercare Dario ed Eugenio”.
Hai avuto difficoltà nel confrontarti con una dizione teatrale che è stata reinventata ex novo da Dario Fo?
“Sono stato fortunato ad avere Eugenio alla regia. Lui è un maestro del Teatro fisico, della commedia dell’arte, di tutte le regole che abbiamo usato in Mistero Buffo. E soprattutto mi ha aiutato il pensare che non fosse una gara. Come fai ad entrare con un genio? Oltretutto lui non c’è più.
Il Teatro è secondo me qualcosa che avviene in quel momento, una forma di comunicazione che avviene lì e ora.
Propongo un classico universale, che va ricordato. Troviamo anche qualche spettatore che incredibilmente non ha mai visto Mistero Buffo”.
E sicuramente altri, immagino, che sono rimasti legati alla dimensione eversiva di quegli anni. Sdoganare il dialetto e rendere comico un monologo è stata l’intuizione di Dario Fo. Ora i tempi sono cambiati.
“Non scarterei la dimensione eversiva che comunque resta eterna. Ne ‘Il primo miracolo di Gesù bambino’, c’è un Gesù immigrato che viene mandato via dagli altri bambini. E anche in ‘Bonifacio VIII’ c’è una critica fortissima al potere, ancora molto attuale, anche se ora c’è un altro tipo di Chiesa con questo Papa, ma per esempio non con Ratzinger, e magari ne verrà un altro. E non credere che non sia altrettanto osteggiata, magari segretamente”.
Sono tempi duri per Teatro, l’aspetto che colpisce più di te è il connubio tra talento e comunicazione, e sicuramente ciò è parte integrante del tuo successo. Oltre ad essere interprete in Mistero Buffo, al Teatro comunale hai tenuto un laboratorio sulla comicità, il Comedy Lab, girando di bar in bar, in un contesto dalla doppia anima che talvolta crea separazione tra attori in e out, o tra on e off.
“Io non sono ne in e out, non faccio spettacoli solo nei Teatri stabili, continuo a farli nei Teatri di Provincia, ho fatto Teatro nelle piazze, ho fatto Teatro di Strada. Noi abbiamo il dovere di far girare il più possibile gli spettacoli, in qualsiasi luogo. E’ questione di umiltà, non certo di nichilismo, nessuno di noi è immortale ed esente da critiche, anche Dario Fo è stato denigrato in varie occasioni”.
Qual’è secondo te la dote più importante per un attore, oltre al talento?
“Credo che sia la capacità di creare energia tra te e il pubblico. Talvolta c’è un eccesso di attenzione al testo, alla drammaturgia. Diversamente la
sintonia energetica,
è molto sottovalutata. Oltre a concentrarsi sul testo e sulla drammaturgia è necessaria l’energia che crei col pubblico quando vai in scena, o non hai risposte, ne da te ne dagli spettatori”.
E’ una questione di intelligenza emotiva, il brivido indispensabile tra attore e pubblico. Qual’è l’attore che secondo te riesce a trasmettere il famoso brivido?
“Ho visto spettacoli di Roberto Latini che sono eccezionali, pur essendo molto diversi da ciò che faccio io, l’ho trovato potentissimo, eccezionale. Anche Antonio Rezza è un performer che amo, anche lui mi da il brivido”.
In Umbria hai collaborato con il Teatro Thesorieri, a Cannara, ci tornerai?
“Al Thesorieri ho fatto tutti i miei spettacoli, siamo molto amici. Sono persone che fanno un lavoro eccezionale cercando artisti, facendosi conoscere, creando spettacoli, rendendo vivo quel luogo, con l’intento di aprire il Teatro alla gente. E’ una forma laboratorio artistico che dovrebbe nascere in tutta Italia, per far partire cultura anche dai piccoli centri. Tornerò con immenso piacere a maggio per Mistero Buffo”.
Perfetto e grazie per la chiacchierata Matthias, sarà una splendida occasione per rivederti in Umbria.
“Grazie a te Cristiana”.