Un concerto punto e virgola quello offerto agli Amici della Musica di Perugia da Alessandro Carbonare e dal suo trio di clarinetti.
Ieri sera nella sala dei Notari resa ovattata dagli echi natalizi della piazza sottostante, Carbonare, in compagnia di Luca Cipriano e Perla Cormani, ha realizzato un avvincente percorso sul mondo delle sue ance, quelle che dal clarinetto, di cui è magistrale dominatore, passa al corno di bassetto e al basso, il padre nobile della famiglia.
Un viaggio nella modernità il suo, appena increspato dall’omaggio alla classicità, con un trio di Mozart per corni di bassetto, il Divertimento K 493b/1, una vera rarità all’ascolto profano, visto poi che la sua originale destinazione era per le liturgie massoniche viennesi dell’epoca. Ve li immaginate gli incappucciati di oggi incedere a suon di Mozart?
Timbri raffinati quelli di Carbonare e sodali, visto poi che la fattura dello strumento è una sorta di emissione a caratura di tenore, non quello squillante del melodramma, ma quello umbratile e vaporoso della polifonia rinascimentale.
Confortati e rassicurati dalla classicità espressa, abbiamo goduto di una scheggia di “cattivo umore”, con il duetto di Poulenc, clarinetto in si bemolle e in la. Una paginetta che è un graffio, che non rinuncia, nell’Andante centrale, ad una sorta di pastorale-noire, un’amarissima melopea da pastore dell’Auvergne.
Introdotti da Carbonare ecco poi i pezzi forti della serata, gli autori jazz, i brasiliani gli anonimi Klezmer. Bisogna però ricordarsi che, quando si parla ai Notari ci vogliono i microfoni, perché in fondo alla sala non si sente niente.
Si percepisce comunque il fatto che Carbonare ringrazia il giovane Cipriano per gli adattamenti predisposti e che indica in lui il vero jazz-man della situazione.
Lo prendiamo per buono e ci addentriamo nella jazz-suite tratta da tre canzoni di Chick Corea. I tre eseguono mirabolanti tropismi con tanto di respirazione circolare e di doppi suoni. Prodigi di tecnica che rischiano quasi di passare sottotono nel momento in cui i tre cominciano a camminare nella sala, praticamente percorrendola tutta e ritorno. Il suono avvolge tutti con una liquidità senza pari. Momenti di altissima suggestione. Che oltretutto si svolgono nell’ambito di almeno quattro ottave, un ampio spettro sonoro coperto da soli tre strumenti.
Si prosegue ormai su questa linea con la Suite brasiliana arrangiata da Cipriano su tre autori di culto del samba e del choro, Nazareth, Pascoal e Gismondi, con la ricchezza di effetti esecutivi di cui si parlava prima.
Quando poi inizia il suggestivo lamento del Klezmer accade l’imprevisto. Il clarinetto di Carbonare perde una chiave e rende necessaria una pausa. Inconveniente imbarazzante che non depone certo a favore della marca di strumento che impugna il virtuoso di mille serate.
Quando si riprende il tono di recitazione è quello che ci si poteva aspettare. Altissima retorica narrativa, struggente ed esagerata come è questa musica che narra un dolore senza fine, quello degli Askenaziti dei romanzi di Singer, e delle loro sofferenze nell’Europa orientale dei pogrom e dell’Olocausto.
Chiusura con Gershwin e tutti fuori a criticare l’albero di Natale dalla smaccata impronta commerciale e consumistica eretto in pazza Grande. Uno schiaffo alla spiritualità e alla “povertà” del Natale, ammesso che qualcuno ci creda ancora.
Stefano Ragni